La storia e l'evoluzione dei boschi

I boschi come li vediamo oggi, sono il frutto di continue modificazioni determinate in tempi remoti dai mutamenti climatici e, in tempi recenti, dall'azione dell'uomo. In regioni come l'Umbria,  contraddistinte dall'impronta di una occupazione umana molto antica "è una impresa non facile stabilire che cosa sarebbe la vegetazione senza l'intervento dell'uomo" (Desplanques 1975).

 
Ad esempio le conifere (abeti e pini) sono state le specie predominanti in Umbria per decine di millenni a partire dal periodo postglaciale fino all'età della civilizzazione neolitica. Da ricerche storico-geografiche e polliniche risulta che, fino al XVII secolo, l'abete bianco era consociato al faggio  e all'abete rosso e che il pino nero era presente nei querceti. Ed è stato solo a causa dell'attività antropica che queste tipologie di bosco sono oggi scomparse.

Infatti, più che le modifiche dovute a cambiamenti di clima, è stata l'azione dell'uomo sul bosco che, oltre ad alterarne le forme e i limiti, ne ha ridotto consistentemente la diffusione e ne ha determinato il degrado. Il disboscamento (eliminazione del bosco per fare posto a terreni coltivati o pascoli) è iniziato con la prima occupazione dell'uomo ed in epoca romana si era già ampiamente diffuso.
La prima fase di intenso disboscamento avvenuta in epoca romana fu seguita da un deciso ritorno del bosco durante l'Alto Medio Evo. Sono menzionati boschi anche in pianura dove oggi non si ritrovano più. E' difficile calcolare un indice di boscosità alla fine del Medio Evo. Desplanques ipotizza che circa tre quarti del territorio fossero ancora ricoperti da boschi. Il passaggio da un indice di boscosità del 60-75% nel Medio Evo all'indice del 22% registrato alla metà del secolo scorso è quindi da imputare agli ultimi secoli. La grande ondata di disboscamento seguì di pari passo l'esplosione demografica, tanto che nel periodo 1750-1860 la popolazione all'incirca raddoppiò e al contadino non rimase che estendere le terre coltivate.

Con l'avvento dell'unità di Italia e delle ferrovie si hanno i principali cambiamenti qualitativi dei boschi dell'Appennino umbro-marchigiano: prima dell'unità d'Italia le fustaie costituivano ancora il 77% dei boschi, mentre nel 1950 esse erano ridotte a poco meno del 7% comprendendo peraltro i rimboschimenti di conifere effettuati fra le due guerre. La necessità di produrre traversine ferroviarie in grande quantità determinò il taglio indiscriminato delle piante di maggiori dimensioni presenti senza che ci si preoccupasse dei meccanismi di rinnovazione del bosco. A partire dal grande esodo dalle campagne degli anni '50, si registrò un'inversione di tendenza che vide il bosco affermarsi in un lento e continuo processo di ricolonizzazione dei terreni agricoli marginali e di progressivo incremento della quantità di biomassa legnosa. I boschi aumentarono sensibilmente di superficie a partire dal 1950 fino al 1975, facendo registrare un incremento annuo quasi pari all'1%. Verrebbe da pensare che il contributo principale a questo aumento sia da imputare agli interventi di imboschimento e rimboschimento. In realtà questi contribuiscono per appena il 5% sull'incremento complessivo del 20%, che è invece da attribuire alla grande capacità del bosco di ricolonizzare spontaneamente gli spazi sottrattigli con il disboscamento.
A partire dagli anni '70 del secolo scorso sono stati effettuati in Umbria numerosi interventi di avviamento a fustaia dei cedui, con lo scopo di porre le basi per una ricostituzione dei boschi di alto fusto. Queste operazioni sono iniziate dapprima a opera dello Stato e sono proseguite poi con l'intervento della Regione che ha agito principalmente attraverso le Comunità montane, portando attualmente la percentuale di boschi di alto fusto a circa il 20% della superficie forestale regionale.